Il Grand Tour in Campania, tra Napoli e Pompei
Il termine 'Grand Tour' appare per la prima volta a fine Seicento,.
Adottato dal canonico inglese Richard Lassels nel suo scritto “Voyage of Italy: The Grand Tour of France and the Giro of Italy”, il termine diventò in poco tempo universalmente noto. Nel giro di qualche decennio, infatti, iniziò ad essere usato per indicare un itinerario di viaggio molto particolare in Italia, che avrebbe connotato culturalmente i secoli a venire.
Il Grand Tour nacque ai tempi della regina Elisabetta I per far sì che i giovani nobili inglesi, futuri governanti, potessero osservare e apprendere i costumi civili, culturali e politici degli altri paesi europei. Il Grand Tour divenne poi un fenomeno culturale estendendosi anche ad artisti e letterati come Montesquieu, Goethe, Lamartine, Stendhal e Dickens.
“Colui che non ha viaggiato in Italia soffrirà sempre di un senso di inferiorità
perché non avrà visto ciò che ogni uomo dovrebbe vedere” - Samuel Johnson.
Le tappe del Grand Tour in Italia
L’Italia, col suo patrimonio artistico e culturale, rappresentava una meta imprescindibile per entrare in contatto col mondo antico.
Prima fra tutte, quindi, la Città Eterna, Roma. Capitale dell’antichità e della cristianità, a Roma era possibile studiare i segreti e i canoni del Bello, oltre che toccare con mano le vestigia della Storia.
A seguire il Lazio, dove poter visitare i luoghi celebrati da scrittori classici come Virgilio e Orazio. Anche la Sicilia era una meta ambita, sebbene difficile da percorrere, per riscoprire la magnificenza della Magna Grecia. Ma anche Venezia, Firenze e Pisa attiravano numerosi viaggiatori di quest’epoca.
Successivamente, a partire da fine ‘700, anche le donne d’alto ceto ebbero accesso a questo tipo di viaggio formativo. Debitamente accompagnate da una chaperon, tipicamente una zia nubile, le giovani nobili potevano assaporare almeno in parte il gusto dell'avventura e della scoperta.
Il Grand Tour a Napoli
Con mezzo milione di abitanti, Napoli era la terza metropoli in Europa e tappa immancabile del Grand Tour grazie alla sua ricchezza di storia e cultura.
Così Montesquieu descrive la città di Napoli durante il suo Grand Tour: «un insieme cui partecipano il suolo vulcanico, la vita naturale sotterranea, le acque sulfuree, le solfatare, le terme… e la stessa limpidezza accecante del cielo”.
Grazie ai numerosi visitatori portati dal Grand Tour, a Napoli nacque la scuola di Posillipo. Questa radunava pittori paesaggisti che lavoravano all’aria aperta. Una delle caratteristiche di questa pittura era l’osservazione del paesaggio. Si passo pian piano da una veduta classica e prospettica a una più romantica, che tenesse conto anche delle suggestioni personali.
Un’altra particolarità fu il formato. Infatti, i pittori della Scuola di Posillipo iniziarono a realizzare piccoli quadri, acquerelli o dipinti con la tecnica a gouache, a scopo commerciale.
In questo modo, le vedute del Golfo di Napoli e dei luoghi attraversati durante il Grand Tour si diffusero in tutto il Nord Europa. Questo, a sua volta, stimolò molti aristocratici a commissionare opere d'arte che immortalassero ciò che incontravano durante il proprio viaggio.
Le altre tappe del Grand Tour a Napoli
I napoletani erano conosciuti per la loro fantasia già dai tempi passati. Per questo, quando il barocco approdò nella città partenopea, trovò terreno fertile e venne esaltato in uno stile molto diverso da quello dell'antica Roma.
Harold Acton, esteta e scrittore britannico, dichiarò infatti che “il barocco ebbe modo di esprimersi a Napoli con la stessa gioia di un volo di usignoli liberati da una gabbia d’oro”.
Si ritrovano i colori e le linee sinuose tipiche di questo stile in numerosi palazzi aristocratici e chiese napoletane, tra cui la Certosa di San Martino, che offre una vista panoramica sul Golfo di Napoli.
Anche se non inerente al Mondo Antico, la Certosa era una tappa importante per i Grand Touristi. Costruita nel 1325 per volere di Carlo d’Angiò, Duca di Calabria, e ampliata tra ‘500 e ‘600, la Certosa divenne un gioiello barocco di enorme suggestione.
Il Grand Tour nei dintorni di Napoli
Oltre alla città di Napoli, i viaggiatori del Grand Tour erano attratti dai recenti ritrovamenti archeologici di Ercolano (1738) e Pompei (1748), i cui scavi furono particolarmente promossi da Sir William Hamilton, rappresentante dell’Impero britannico.
Robert Adam, architetto inglese neoclassico, descrive così Ercolano dopo averla visitata nel 1755.
“Abbiamo attraversato un anfiteatro alla luce delle torce e seguito le fondamenta dei palazzi, i portici e le porte, le divisioni dei muri ed i pavimenti a mosaico. Abbiamo visto vasi e pavimenti di marmo appena scavati, e ci sono stati mostrati alcuni piedi di tavoli di marmo scavati appena il giomo prima.
Ben presto mi sono reso conto che quanto si diceva, e cioè che la città fosse stata inghiottita da un terremoto, fosse una cosa falsa, era stato qualcosa ancora di peggio di un terremoto. Era stata sommersa da un flusso di pietra liquida dal monte Vesuvio durante l'eruzione, è chiamata lava e quando si raffreddò è diventata dura come il basalto.”
Pompei ed Ercolano: il cuore del Grand Tour
Il Grand Tour non poteva definirsi completo senza una visita ai siti archeologici di Pompei e Ercolano, dove fare un tuffo in un passato preservato per secoli sotto strati di cenere e terra.
Pompei, Patrimonio UNESCO, si estende per 66 ettari di cui 55 scavati dove sono stati riportati alla luce edifici civili e privati, mosaici e sculture dell’antica città romana sepolta a causa dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
Similmente a Pompei, Ercolano fu distrutta prima dal terremoto del 62 a.C. e nuovamente dall’eruzione del Vesuvio solo 17 anni dopo. A inizio ‘700 i primi scavi riportarono alla luce dapprima marmi e statue dell’antico Teatro e poi la Villa dei Papiri, la necropoli, il Tempio di Venere e le Terme Suburbane.
Il Miglio d'Oro:
tra ville neoclassiche e siti archeologici
Tra Napoli ed Ercolano corre quello che un tempo veniva chiamato il Miglio d'Oro.
Questo era un un tratto di strada lungo il quale erano state costruite ben 120 ville. Il nome - Miglio d'Oro - derivò non solo dalla sontuosità delle ville, ma anche per la presenza di numerosi alberi di limoni e arance.
Le ville costruite lungo il Miglio d'Oro presero il nome di Ville Vesuviane. Osservandole, possiamo notare elementi meno sontuosi del tardo-barocco, già volti al neoclassicismo. Un ottimo esempio è rappresentato da Villa Campolieto, caratterizzata da una pianta quadrata e una galleria centrale a croce greca.
In stile neoclassico è invece Villa Pignatelli. Costruita da Ferdinando Acton, la villa venne successivamente acquistata dalla famiglia Rothschild, che la ampliò e ne trasformò gli arredamenti. Le ex-scuderie sono oggi sede del Museo delle Carrozze, dove è possibile ammirare arredi d’epoca oltre a 34 esemplari di carrozze e calessi di produzione italiana, inglese e francese.
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